Ciao Roberto!

Già me lo vedo.

Si sarebbe fermato, richiamando la mia attenzione con un “Ehi, come va?” che spesso usava. Lo avrebbe fatto guardandomi di sbieco, con quegli occhiali inconfondibili, di foggia immutata per tutti gli anni della nostra lunga amicizia. E con quello sguardo un po’ storto, dal basso, ma così carico di bontà e di voglia di comunicare. Si sarebbe fermato volentieri, magari con al braccio il suo ombrello, che precauzionalmente spesso portava con sè, con quel giubbetto anni 80 che sempre vestiva, imperterrito, appunto forse da 40 anni suonati.

Ci avrebbe comunque scherzato anche su, avrebbe detto che era giunto il capolinea anche per lui, ma mi piace pensare che lo avrebbe etichettato così, come la fine che spetta a tutti, con quella rassegnazione teatrale che spesso usava per infarcire il suo pensiero, mai banale, sempre sostenuto da una vena filosofica che noi adoravamo.

Aveva studiato dai preti il signor Mori, per poi non votarsi all’abito talare. Con lui alcuni di noi si dilettavano ad ascoltarlo quando citava qualche padre della Chiesa o qualche filosofo, il cui pensiero riportava in un perfetto latino, e che con fare divertito ti chiedeva di tradurre, sfidando la tua memoria e le tue capacità, nulla in confronto alle sue, così fresche nonostante i suoi studi non fossero certo poco datati.

Una vena comica inarrestabile.

Gran bevitore, rifuggeva l’acqua come fonte di tutti i malanni perché, diceva, …”poi ti fa arrugginire”.

Etichettava suo figlio come “il balordo che ha studiato all’Università di Cusano”, ma ne era malcelatamente orgoglioso come nessun padre, per le prodigiose parate di Francesco la domenica in campo.

Non lesinava critiche nemmeno per sé: si definiva un bastardo, né carne né pesce, perché veniva da Pontremoli, dove ora riposa, dalla Lunigiana, terra di mezzo tra Toscana e Liguria, con gente chiusa come i liguri e presuntuosa e cocciuta come i toscani.

Tantissimi i ricordi a lui legati da noi della Polisportiva e della prima squadra in particolare.

Gli anni passati, anche con me, allora diciassettenne, a tirare le righe del campo il sabato mattina, per le partite delle giovanili il pomeriggio, con i suoi inconfondibili stivali in gomma, il filo di corda e la “calcinella” come la chiamava lui, il fango spesso alle caviglie quando aveva piovuto.

Gli anni da dirigente e guardalinee a seguito di suo figlio in prima squadra ed anche prima, nelle giovanili.

La disponibilità per i lavori più umili, come lo strappabiglietti alle partite o il cameriere alle cene del Torneo Internazionale.

Quella mitica trasferta per il ritiro in montagna ad Aosta, in cui ci aveva intrattenuto con barzellette e storie di vita ma soprattutto surclassato per la tenuta nella degustazione del copioso vino presente alla grigliata al mitico laghetto, quello stesso, ghiacciato, in cui suo figlio, sotto lo sguardo falsamente incredulo ma in fondo orgoglioso del padre, si era tuffato a testa in giù gridando “Banzai” e trascinando tutta la squadra ad un corroborante bagno rinfrescante di gruppo.

 

Per noi il signor Mori è stato questo: un padre a cui tutti volevamo bene, un amico con cui prendere un caffè al Circolino ma soprattutto la prova vivente di chi incarna il NOSTRO spirito, lo spirito di perché noi, che “facciamo” la Polisportiva tutti i giorni, stiamo assieme.

Lo abbiamo ricordato con una preghiera alla fine di una riunione serale con la presenza di quasi 30 persone, che hanno discusso della nuova stagione agonistica e di tante cose che con noi Roberto ha fatto per anni. Dell’importanza di educare bene i ragazzi, della necessità del rispetto delle regole, dell’auspicio che si viva la nostra società come parte fondamentale di un’amicizia più grande. Mai suggello a questa riunione avrebbe potuto essere più giusto, mai nessuno se non Roberto avrebbe potuto esserci così vicino in quel momento.

Molti di noi hanno sposato il Circolo Giovanile, lo hanno fatto perché in questa società c’è un carisma speciale, che va oltre il fatto sportivo e che è il fatto di riconoscere la presenza di Cristo, che passa a noi attraverso chi con noi lavora, fatica e condivide la bellezza di questa esperienza.

In questo Roberto è stato un vero maestro, a lui va il nostro grazie, il nostro affettuoso abbraccio ed il nostro impegno a far sì che tutto quello che anche lui ha costruito in tanti anni non vada perduto, il miglior modo per farne memoria.

 

Ciao Balordo!

 

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